L'ortografia è l'insieme di regole che stabiliscono la corretta forma scritta delle parole. La trascrizione grafica dei suoni (...) non è sempre fedele, perché obbedisce a consuetudini sedimentate nel tempo e ormai irrinunciabili, pena il disorientamento di chi legge. Per questo motivo, nella scrittura è necessario un controllo formale condizionato dalle regole ortografiche le cui particolarità fanno spesso sorgere dubbi.
Curiosità: Verbo dare. Si accenta “do”, “dai”? E l'espressione “dai” col significato di su, forza? (www.treccani.it)
Quiz ed esercizi online da svolgere da solo o in classe per il ripasso della grammatica italiana: dall'analisi grammaticale all'analisi del periodo
Il nome (o sostantivo) è la parte del discorso che ci permette di identificare tutti gli elementi della realtà - persone, animali, cose - e di esprimere tutto quanto è oggetto della nostra mente e della nostra fantasia.
L'articolo è una parte del discorso che non può essere usata da sola perché non ha un significato proprio. TRasmette però una sfumatura di significato al nome che precede presentandolo come qualcosa di conosciuto (articolo determinativo), come il singolo elemento di una categoria o qualcosa di non conosciuto (articolo indeterminativo) oppure come parte di un tutto o una quantità indeterminata di elementi (articolo partitivo). La forma dell'articolo è variabile e concorda in genere e in numero con il nome che precede.
L'aggettivo qualificativo è la parte del discorso che accompagna il nome per attribuirgli una particolare qualità o caratteristica. Ha forme variabili che concordano nel genere (maschile e femminile) e nel numero (singolare o plurale) con il nome che accompagna. La funzione specifica dell'aggettivo qualificativo è quella di precisare o modificare il significato del nome che accompagna. Tuttavia può anche essere usato come:
I pronomi personali indicano qualcuno o qualcosa (funzione indicatrice) oppure richiamano una parola evitando una ripetizione.
I pronomi relativi invece sostituiscono una parola che li precede (funzione sostituente); allo stesso tempo svolgono la funzione di congiungere due frasi (funzione sintattica). All'interno della frase, i pronomi personali e relativi possono svolgere le funzioni logiche del nome (soggetto, complemento oggetto, complemento di termine, complemento indiretto).
I pronomi personali e relativi hanno alcune forme variabili e altre invariabili. Inoltre risentono delal declinazione latina e presentano talora forme diverse per esprimere il soggetto, il complemento diretto e il complemento indiretto.
I determinativi sono una classe mista di aggettivi e pronomi: sono aggettivi quando accompagnano un nome; sono pronomi quando non sono seguiti da un nome, ma lo sottintendono. Gli aggettivi e i pronomi determinativi precisano una caratteristica particolare del nome che accompagnano o sottintendono:
Il verbo, che ha nella frase un ruolo centrale, è la parola più ricca di informazioni. Può designare un'azione, una condizione, un modo d'essere. È composto di una radice, la parte fissa che ne trasmette il significato, e di una desinenza, la parte variabile che, a seconda delle sue forme indica la persona, il numero, il modo e il tempo.
Le parti invariabili del discorso sono la preposizione, l'avverbio, la congiunzione e l'interiezione. Per definizione queste parti del discorso hanno forme invariabili che non esprimono né il genere né il numero. Le preposizioni però possono unirsi agli articoli determinativi dando luogo alle preposizioni articolate, le cui forme sono variabili in relazione al genere e al numero.
Le preposizioni e le congiunzioni collegano le parole di una frase o le proposizioni di un periodo. Sono quindi parti indispensabili: senza di esse, infatti, non avremmo un discorso, ma solo u insieme di parole slegate e prive di ogni relazione logica. POiché non hanno in sé un significato preciso, ma lo assumono quando svolgono la loro specifica funzione di collegamento sono anche chiamate "segni funzionali".
L'avverbio serve a precisare o a modificare il significato della parola o della frase a cui si collega.
L'interiezione è la parte del discorso d'uso meno ricorrente e non strettamente necessaria. Inoltre, ha la caratteristica di non avere legami grammaticali con gli altri elementi della frase ed equiale essa stessa a un'intera frase, ad esempio: Accidenti! Mi fa male il ginocchio!
La proposizione è detta indipendente quando è AUTONOMA dal punto di vista sintattico: può essere o una frase semplice oppure una proposizione principale (o reggente) in un periodo. In genere ha forma esplicita (verbo di modo finito) e può essere più o meno autonoma sul piano semantico (cioè del significato).
Nell’analisi del periodo, le proposizioni coordinate sono frasi unite da un rapporto di coordinazione (➔paratassi). Si trovano dunque su uno stesso piano sintattico e hanno ciascuna una propria autonomia. La coordinazione può avvenire per semplice giustapposizione (ossia per asindeto), quando due frasi vengono accostate e separate da un segno di punteggiatura oppure mediante l’uso delle ➔congiunzioni coordinative (ossia per polisindeto). [...]
Le proposizioni coordinate possono essere:
Le proposizioni subordinate (dette anche secondarie) sono frasi dipendenti logicamente e grammaticalmente da un’altra, che può essere autonoma (ed è chiamata allora proposizione ➔principale) o a sua volta subordinata (ed è chiamata allora proposizione reggente o sovraordinata).
Nell’analisi del periodo, si definiscono proposizioni completive alcune proposizioni subordinate che all’interno del periodo completano il significato del verbo, facendo le funzioni, per così dire, del suo soggetto o del suo complemento oggetto. Nello specifico si tratta delle proposizioni:
nell’analisi del periodo, le proposizioni relative sono proposizioni subordinate introdotte da un pronome o da un avverbio relativo che esprimono una qualità riferita a un elemento (detto antecedente) contenuto nella proposizione principale.
Le proposizioni relative si costruiscono in maniera diversa a seconda che siano esplicite o implicite:
Nell’analisi del periodo, le proposizioni causali sono proposizioni subordinate che indicano la causa per cui avviene ciò che è espresso nella proposizione reggente.
Nell’analisi del periodo, le proposizioni finali sono proposizioni subordinate che esprimono il fine, lo scopo, l’obiettivo di quanto viene detto nella proposizione principale.
Nell’analisi del periodo, le proposizioni consecutive sono proposizioni subordinate nelle quali si esprime un fatto o una situazione che è la diretta conseguenza di quanto espresso nella principale.
Nell’analisi del periodo, le proposizioni temporali sono proposizioni subordinate che indicano il momento in cui si svolge quanto è detto nella proposizione reggente. Le proposizioni temporali possono esprimere anteriorità, contemporaneità o posteriorità rispetto alla reggente e si costruiscono in maniera diversa a seconda che siano esplicite o implicite.
Nell’analisi del periodo, le proposizioni concessive sono proposizioni subordinate nelle quali si esprime un fatto o una situazione che si verificano nonostante ciò che viene espresso nella proposizioni principale.
La proposizione modale è una subordinata che indica il modo con cui avviene ciò che è detto nella proposizione reggente; è espressa per lo più con il verbo al gerundio presente (camminava zoppicando; leggeva tenendo il foglio sotto il naso) o all’infinito preceduto da senza (l’ho fatto senza volere), oppure anche con il verbo all’indicativo introdotto dall’avverbio come o dalle locuzioni nel modo che, secondo che e sim. (fa’ come ti pare; risolvi nel modo che o secondo che ti sembra giusto).
Le subordinate strumentali indicano il mezzo con cui si compie l'azione espressa dal verbo della reggente. Svolge nel periodo una funzione analoga a quella che nella proposizione svolge il complemento di mezzo o strumento. Hanno soltanto la forma esplicita e sono espresse al gerundio, con l'infinito preceduto dall'articolo che si unisce alla preposizione con o da una locuzione come a forza di, a furia di.
Nell’analisi del periodo, le proposizioni condizionali (o ipotetiche) sono le proposizioni subordinate che esprimono un fatto o una situazione (la condizione o ipotesi) da cui dipende la possibilità che avvenga o no quanto espresso nella principale.
Tradizionalmente, la proposizione condizionale o ipotetica viene detta pròtasi (dal greco pròtasis ‘premessa’), quella principale apòdosi (dal greco apòdosis ‘restituzione’). Le due frasi insieme formano il periodo ipotetico.
Si è soliti classificare tre tipi di periodo ipotetico.
Indica un’azione o un fatto che si contrappone a quanto affermato nella reggente.
es. Perdi tempo,quando invece dovresti sbrigarti
Stabilisce un paragone con quanto affermato nella reggente. Può essere di uguaglianza, maggioranza, minoranza.
es. Non era così difficile come avevo previsto
Indica la circostanza che può/potrebbe impedire quanto espresso nella reggente.
es. Non posso far altro se non aspettare
Esclude qualcosa rispetto a quanto affermato nella reggente.
es. Non passa giorno che non pensi a te
Delimita quanto affermato nella reggente, riducendone l’ambito.
es. Per quanto ne so io stanno tutti bene
Le lingue sorgono dall'uso spontaneo di un gruppo di parlanti, ma diventano lingue affermate e riconosciute quando vengono messe anche per iscritto e appoggiate da un potere politico, e talvolta militare (una casa regnante una classe dominante), che interviene a sostenere quell'uso e lo impone ai sudditi nelle cerimonie e negli atti ufficiali. È quanto è accaduto in Francia, in Spagna e in altri Paesi. In Italia le cose sono andate diversamente. L'italiano si è formato dal dialetto fiorentino attraverso le opere di scrittori di eccezionale capacità creativa e si è affermato per la rapida e spontanea adesione al loro modello da parte delle persone colte di altre regioni. In Italia la lingua ha preceduto di secoli, e preparato, l'esistenza di uno Stato, che è diventato strumento necessario perché quella lingua giungesse a un intero popolo e potesse affemarsi nel mondo intero.
L'introduzione del volgare come lingua di espressione culturale in Italia è la conseguenza dell'ascesa della classe borghese-mercantile, che avverte l'esigenza di esprimere la propria visione del mondo e i propri valori attraverso una lingua diversa dal latino, che in pochi ormai conoscono. Alla corte siciliana di Federico II per la prima volta viene elaborata una lingua letteraria raffinatissima, il cosiddetto siciliano illustre; quando l'esperienza di questi poeti si esaurisce, la loro eredità viene raccolta dalla Toscana e nel secolo successivo i tre grandi modelli di Dante, Petrarca e Boccaccio consacrano il fiorentino come lingua letteraria d'eccellenza. Il latino resta la lingua della cultura dotta, mentre acquistano sempre maggior prestigio il francese (lingua d'oïl) e il provenzale (lingua d'oc), che lasceranno un segno profondo nel vocabolario italiano.
Dal latino alle lingue romanze
Origine delle lingue romanze
I primi documenti in volgare
L'italiano del Trecento
Nel Cinquecento la lingua letteraria diviene più stabile e solida grazie anche ad un'intensa attività critica intorno alle
radici e ai modelli dell'italiano: vi sono numerosi tentativi di sistemazione grammaticale. Appunto nel corso di questo secolo
giunge al suo culmine quella lunghissima controversia sulla norma linguistica da adottare nelle scritture che prende il nome di
«questione della lingua». Avviata dallo stesso Dante (...) tale controversia (...) ha avuto notevoli implicazioni culturali
e persino politiche.
Il letterato veneziano Pietro Bembo (...) afferma l'esigenza di rifearsi al toscano letterario arcaico, rappresentato in particolare
dal Boccaccio per la prosa e dal Petrarca per la poesia; il suo gusto aristocratico gli fa mettere da parte Dante (...). La vittoria
della linea bembiana fu sancita nella stessa Firenze da un'istituzione che sarebbe rimasta a lungo un autorevole tribunale
della nostra lingua letteraria: (...) l'Accademia della Crusca.
(...)Una vivace reazione al purismo espresso dal Vocabolario della Crusca si ebbe nel Settecento con l'Illuminismo. Particolarmente
attivo nella polemica, fu il gruppo milanese raccolto intonro alla rivista «Il Caffè» (1764-1766), sotto la direzione dei fratelli
Pietro e Alessandro Verri(...) (i quali) rivendicano la necessità di un linguaggio nuovo, adatto ad una società più moderna (...), occorre
rendere l'italiano più duttile e concreto accogliendo i neologismi e i forestierismi connessi ai progressi della scienza e della tecnica (...).
È soltanto a partire dal secondo Ottocento che l'italiano scritto si avvicina all'italiano parlato. (...) Il Manzoni riconosce che
la lingua è un bene di tutti, non un patrimonio riservato a poche persone colte. La lingua letteraria rappresenta solo una parte del sistema
linguistico, il quale deve adeguarsi ai bisogni comunicativi dell'intera società dei parlanti.